FAQ: le domande più frequenti sulla malattia d’Alzheimer

L’  incertezza e il senso di impotenza, sono alcune delle sensazioni che colgono i famigliari dei malati di Alzheimer al momento della diagnosi. La famiglia è la seconda vittima della malattia, poiché improvvisamente è costretta a gestire il dolore e la fatica di una quotidianità che giorno dopo giorno si complica. Il senso di solitudine, l’incertezza, l’ansia rappresentano emozioni che mettono a dura prova, soprattutto quando non vi è la possibilità di esternarle e di condividerle.
Molte sono le domande che ci si pone davanti alla diagnosi di demenza d’Alzheimer; alcune di esse sono state raccolte in un anno di incontri presso il Caffè Alzheimer di Tortona.
Abbiamo pensato che fosse utile fornire risposte ai quesiti più frequenti, sperando in questo modo di fornire una bussola che possa orientare nell’arduo cammino di chi accompagna un malato d’Alzheimer.


FAQ: Domande Frequenti

Con il termine demenza senile si designa una sindrome, cioè un insieme di sintomi, caratterizzata da una progressiva diminuzione delle prestazione cognitive (ad esempio la memoria. Il linguaggio, l’orientamento, il ragionamento) di gravità tale da compromettere le normali attività della vita e le relazioni. Alla base della demenza senile, vi possono essere molte malattie: in circa il 50-60% dei casi essa è dovuta alla malattia d’Alzheimer; in circa il 10% si diagnostica una demenza vascolare, dovuta alla arteriosclerosi cerebrale; nel 15–20% dei casi la demenza senile è dovuta alla contemporanea presenza della malattia di Alzheimer e di lesioni ischemiche. Vi sono infine altre forme di demenza quali quella a corpi di Lewy e quelle dovute a malattie come il morbo di Parkinson, la malattia di Pick, la malattia di Creuzfeldt-Jakob.

La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza. Si tratta di un processo degenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule del sistema nervoso centrale, provoca placche senili e grovigli neurofibrillari. Nelle ultime fasi della malattia la progressiva povertà cellulare produce un assottigliamento del tessuto cerebrale visibile anche alla TAC e alla Risonanza Magnetica. La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 descrisse per primo i sintomi e gli aspetti neuropatologici della malattia. Colpisce le aree del cervello preposte a funzioni cognitive quali la memoria, il linguaggio, la percezione, l’orientamento che conseguentemente risultano compromesse. Inibisce inoltre le autonomie della vita quotidiana e provoca disturbi psicologici e del comportamento.

La malattia d’Alzheimer si manifesta in ogni singola persona in modo diverso e ciò rende arduo prevedere la sintomatologia e la successione dei disturbi. L’esordio è generalmente lento e progressivo al punto tale che inizialmente i sintomi possono non essere considerati come tali dal malato e dai famigliari. Nella prima fase della malattia la persona può presentare sintomi simili a quelli della depressione ed è quindi necessaria una diagnosi differenziale da parte del medico per appurare la natura reale del disturbo. Con l’avanzare della malattia i sintomi sono sempre più evidenti e la qualità della vita e delle relazioni ne risente pesantemente.

L’andamento della malattia può essere schematicamente suddiviso in tre fasi.
Fase 1: Generalmente si riscontra un’iniziale perdita della memoria, delle funzioni esecutive (quelle necessarie per svolgere le normali attività quotidiane) e talora difficoltà delle abilità linguistiche. Si possono inoltre riscontrare modificazioni a livello caratteriale che causano disturbi di natura comportamentale. Sono spesso presenti alterazioni della sfera affettiva che si manifestano con ansia, calo del tono dell’umore e tendenza al ritiro sociale.
Fase 2: Le difficoltà iniziali aumentano e le normali attività della vita quotidiana diventano sempre più problematiche. Le competenze cognitive decadono progressivamente: la perdita di memoria crea sgomento nel malato e lo rende insicuro; le difficoltà linguistiche rendono sempre più difficile la comunicazione Il malato progressivamente perde anche la capacità di comprensione, di lettura e di scrittura. Anche le capacità di orientamento diminuiscono e la persona tende a perdersi anche lungo percorsi un tempo noti.
Fase 3: La persona è ormai completamente dipendente dagli altri e alla perdita delle funzioni cognitive si associa quella delle capacità motorie. Il linguaggio è quasi assente e possono manifestarsi comportamenti anomali (infantilismo, disinibizione). Compaiono incontinenza urinaria e fecale e problematiche relative all’alimentazione.

È difficile stabilire esattamente l’inizio della malattia poiché, nel momento in cui i sintomi appaiono, essa ha già fatto dei danni al sistema nervoso centrale. Poiché la comparsa dei sintomi più evidenti non è concomitante con l’esordio della malattia, non è possibile valutare con precisione la sua durata. Tuttavia, in generale, la malattia si estende su di un periodo approssimativo di otto-dieci anni
Molto dipende dalle cure e dall’assistenza di cui il malato fruisce, che in alcuni casi possono influire sul decorso della malattia.

La malattia di Alzheimer è assai raramente ereditaria.
Solo in una percentuale molto bassa, circa l’1% dei casi, si è riscontrata la presenza di un gene alterato che determina alte probabilità di ammalarsi.
Nel 25% dei casi è dimostrabile una familiarità generica, mentre nella maggioranza dei casi avere in famiglia un malato d’Alzheimer non presuppone che altri membri possano un giorno ammalarsi.

Non esiste un rimedio di tipo farmacologico che possa restituire al malato di Alzheimer l’integrità delle funzioni mentali. Dal punto di vista scientifico si stanno tuttavia effettuando molteplici studi volti ad analizzare i fattori che possono favorire o prevenire la malattia quali lo stile di vita, le abitudini alimentari, i fattori di rischio cardio-vascolari, l’esercizio fisico.
Per quanto concerne lo stile di vita gli scienziati consigliano di:

  • tenere sotto controllo i livelli di pressione, glicemia e colesterolo;
  • seguire una dieta equilibrata e ricca di antiossidanti
  • mantenere attiva la mente
  • praticare attività fisica
  • mantenere vive le interazioni sociali

Ancora oggi non esiste un esame specifico che determina se una persona è affetta dalla malattia di Alzheimer. Si giunge alla diagnosi attraverso un percorso per esclusione che spesso richiede molto tempo , diverse visite di valutazione del malato e l’esecuzione di numerosi esami sia clinici che strumentali (Risonanza magnetica (RM); Tomografia Assiale Computerizzata (TAC); Tomografia Computerizzata mediante Emissione di fotone Singolo (SPECT); Tomografia a emissione di positroni (PET)). Nonostante tutto non è possibile arrivare ad una diagnosi certa, ma solo probabile. Attualmente la diagnosi certa di malattia di Alzheimer si può avere solo post-mortem tramite biopsia del cervello o mediante autopsia.

Nelle demenze molto spesso, accanto ai sintomi cognitivi, si sviluppano disturbi comportamentali di vario genere (agitazione, aggressività fisica e verbale, disibinizione ecc) che contribuiscono in modo significativo a rendere complessa la gestione del malato di Alzheimer e la vita quotidiana di chi gli sta accanto .
È in questo contesto che accanto alle cure farmacologiche si inseriscono le Terapie Non Farmacologiche (TNF), che consistono nell’impiego di tecniche utili a rallentare il declino cognitivo e funzionale, controllare i disturbi del comportamento e compensare le disabilità causate dalla malattia. Le TNF si prefiggono, in modo complementare alla terapia farmacologica, di curare la persona affetta da demenza con il fine di ridurre o contrastare la disabilità legata alla patologia. Queste tecniche si caratterizzano per il coinvolgimento attivo della persona e si fondano sulla preliminare valutazione delle potenzialità residue, allo scopo di sostenere e attivare, con un progetto di cura personalizzato, le funzioni mentali non completamente deteriorate al fine di mantenere la massima autonomia possibile e rallentare così la progressione della disabilità.
Ecco alcune TNF:

  • La Doll Therapy che, tramite l’utilizzo di una bambola da accudire, favorisce l’attivazione della memoria.
  • La Musicoterapia, in grado di rievocare emozioni e reminiscenze agevolando le relazioni con il presente.
  • L’Arteterapia che va a stimolare la creatività del paziente, sperimentando diversi materiali artistici per esprimere sentimenti, pensieri, ricordi.
  • La Terapia del Treno agisce sui disturbi comportamentali , stimolando i rapporti, le relazioni, gli incontri, creando momenti di socialità.
  • La Terapia di “validazione” che si basa sull’ascolto del paziente da parte del terapista, al fine di comprendere la sua visione della realtà e di creare con esso contatti emotivamente significativi. La tecnica è particolarmente efficace al fine di migliorare la relazione con il demente grave.
  • La Terapia occupazionale prevede la stimolazione delle capacità residue attraverso attività che prevedono la realizzazione di un prodotto finito o lo svolgimento di una o più funzioni della vita quotidiana.
  • Il Gentlecare promuove un orientamento che, piuttosto che concentrarsi sul comportamento della persona colpita, incoraggia un adattamento dell’ambiente fisico e sociale in cui è collocata la persona malata . Ciò comporta un cambiamento significativo del modo in cui pensiamo e agiamo nell’assistenza alla persona affetta da demenza.

Le persone che sono affette da questo tipo di demenza presentano una mortalità maggiore, poiché, rispetto ai soggetti della stessa età, sono più fragili a livello psicofisico e di conseguenza sono più vulnerabili e si ammalano con più facilità. Con l’avanzamento della malattia vi è un deterioramento del sistema immunitario e una perdita di peso significativa che indeboliscono l’organismo ed accrescono il pericolo di infezioni. Le cause più frequenti di morte sono attribuibili principalmente a infezioni polmonari e a complicanze riportate in seguito a cadute o all’allettamento.